L’ETA’ DELLA FELICITA’

mano vecchia e giovane

Un bel servizio fotografico con immagini di uomini e donne sopra i settanta anni fa mostra di sé sulle pagine on line di un importante quotidiano. Raccoglie volti sorridenti ed ironici, corpi snelli, forti, agili e dinamici, colti in luoghi o in attività in cui non si immaginerebbero dei nonni, ma piuttosto dei nipotini: piste di pattinaggio sul ghiaccio, paracadutisti, acrobati.
La didascalia afferma “Si tratta di storie ed emozioni che non hanno nulla a che fare con la fantasia e che compongono il progetto “The Age of Happiness” (“L’età della felicità“) del fotografo e giornalista Vladimir Yakovlev. Il progetto è nato per offrire una nuova percezione della vita dai 70 anni in poi”
Guardare la galleria di immagini mi ha fatto sorridere…ma mi anche messo tristezza. Non una tristezza colorata d’invidia (già ora non ho un corpo paragonabile a quelli fotografati e solo in sogno riesco a piroettare sulle punte dei piedi) e nemmeno di sarcasmo: non sono immagini di vecchi patetici che si atteggiano a giovani. Sono proprio belli, sorridenti, a loro agio e orgogliosi delle loro prestazioni. Sicuramente fieri di inviare un positivo messaggio di fiducia.
È una galleria che sembra però alimentare il mito dell’eterna giovinezza, negare la vecchiaia, che sparisce anche dal vocabolario.
La sento invece avvicinare: nel cambiamento dei ritmi biologici, nell’energia che si fa più sottile e penetrante, nel corpo che si stanca diversamente…soprattutto nel percepire la finitezza e il limite. Altri tempi rispetto a quelli in cui pensavo di cambiare il mondo e di avere davanti a me stagioni infinite!
Eppure, fuori dal mito giovanilistico, anzi proprio a partire dalla consapevolezza del tempo che passa, sento che può essere stagione di grande felicità, anche se il corpo è più stanco, appesantito, lento.

Mi dico che anch’io vorrò essere felice nei miei 70 anni (e anche in quelli dopo!) e che lo sarò se saprò accettare con gratitudine lo scorrere della vita e la prospettiva che si fa più corta.

Mi prenderò cura di me in altro modo: sarò più attenta alla misura che all’intensità del piacere, dal cibo all’ebbrezza delle sensazioni forti.
Gusterò ogni giorno con la sapienza che il tempo mi ha dato.
Osserverò con sguardo meravigliato e attento le tracce della bellezza: dei sorrisi, dei gesti, come dei panorami maestosi e delle ragnatele che brillano dopo la pioggia.
Continuerò a viaggiare con la fantasia e l’immaginazione se e quando il corpo sarà affaticato: tornerò nei luoghi che ho amato e riascolterò la musica del vento e del mare, mi farò accarezzare la pelle dall’aria secca del deserto, respirerò la luce frizzante dell’alba e mi abbandonerò al languore dei pleniluni d’estate.
Userò parole e immagini per dare forma ai pensieri e offrire alimento a chi vivrà dopo di me.
Vorrò restare un po’ folle, sorprendere e sorprendermi, con la civetteria di chi sa molto e resta ingenua.

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IL CORAGGIO DEL BUONUMORE

arcobaleno su manifestazione

“La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore” questa citazione di Voltaire, che ho risentito ieri sera in televisione, ha accompagnato la mia mattina.
Il turbamento per i drammatici fatti di Parigi mi ha scosso profondamente, il cielo è grigio e cupo, ho la schiena indolenzita e un cerchio che mi stringe la testa (influenza in arrivo o cervicale che contesta le troppe ore davanti al computer?), sono sola…e allora, dove attingere il coraggio per non cadere in uno stato vagamente depressivo?
Prima di tutto decidere.
Voglio davvero essere di buon umore o non sarebbe meglio, complice l’indolenzimento, giocare a fare la malata coccolandomi sotto le coperte? Ma se gioco, è perché il gioco mi piace e allora mi scappa il primo sorriso autoironico: c’è un sottile piacere nel crogiolarsi compiaciuta nel malessere…basta saperlo!
Per un po’ mi godo il calore del piumino e la sensazione umidiccia del corpo sudato. La finestra lascia filtrare poca luce grigia e gli occhi un po’ si aprono, un po’ si socchiudono a seguire immagini e fantasie. Poi il gioco mi stanca e “coraggiosamente” decido di alzarmi a cercare un buon umore un po’ più attivo e dinamico.
Entro in bagno e mi godo il piacere di vuotare vescica e intestino: che leggerezza! E così a buon mercato!
Lavarmi la faccia poi è davvero salutare: l’acqua è di per se energia vitale che lava e stimola. Se poi questo semplice gesto è accompagnato dalla consapevolezza il piacere si moltiplica.
Sono sulla strada buona. Mi affaccio a osservare il paesaggio uggioso con la volontà cosciente di andare a cercare segni che possano darmi messaggi positivi. Chi cerca trova! Intravedo le gemme sui rami dell’albero davanti alla finestra: foglie secche e in decomposizione per terra danno nutrimento alla nuova primavera che non tarderà ad arrivare. C’è poi la casina colorata dei bambini fatta da mio fratello e mi attardo a ricordare le numerose e belle scene di cui è stata protagonista, dalla costruzione da parte di un falegname improvvisato, alla scrittura in bella calligrafia dei nomi di Ernesto e Francesco sulla porta d’ingresso, alla meraviglia di un mattino di neve quando ho aperto la finestra e mi è apparsa come una immagine di favola.
È con il sorriso sulle labbra che sono passata alla fase successiva: ascolto del corpo e movimento. Ho steso il collo, allungato la schiena, avvicinato e allontanato le scapole per aprire il torace e allargare il cuore, guidata per mano dal mio respiro.
Ho iniziato quindi a scrivere, interrompendomi per seguire la diretta da Parigi, convinta che avrei ricevuto un messaggio forte. Il fatto stesso che ci fosse la manifestazione era una certezza: sono cittadina di un’Europa che sa ancora mobilitarsi per valori forti che sono nel suo DNA e nella sua storia.
Accesa la televisione, il primo cartello che ho letto diceva “L’humor est immortal”.

fiori e matite

LA FENICE

padre e figlio

La marroneta de La Fenice è diventata per me il luogo simbolo della rigenerazione e della fiducia nel futuro, anche nei momenti più difficili.
Conoscevo le marronete del nostro Appennino e mi erano sempre apparse luoghi incantati. Quando sono stata sindaca di Vicchio ho cominciato a capire meglio il valore non solo ambientale, ma sociale ed economico del marrone per territorio mugellano e ho cercato di promuoverlo.
È stata però l’esperienza diretta, maturata in questi ultimi anni, che mi ha consentito di coglierne lo staordinario potere per lo sviluppo della mia crescita personale e di autentica rigenerazione.
Ho trascorso molte giornate a lavorare con Andrea e Valentina. Ho faticato molto, anche in condizioni non facili: al caldo infastidita dai tafani o sotto la pioggia stando attenta a non scivolare in un ripido fosso. Ho vissuto anche momenti gioiosi, come quando il bosco regala funghi a volontà o quando si allarga il cuore alla vista di una bellezza nota che sorprende improvvisa o quando ho visto sorgere tutta per me una straordinaria luna piena in una notte d’agosto.
Anche grazie al lavoro fisico ho trovato un rapporto nuovo con il mio corpo, sempre presente a me. Ho ascoltato attraverso i piedi il contatto con la terra, ho guardato il divenire che il cielo racconta e assaporato il gusto dell’ equilibrio in movimenti insoliti…ho ritrovato lo sguardo limpido e l’orecchio sensibile che i lunghi anni di vita nelle stanze avevano appannato.
Grazie alla marroneta quindi per avermi offerto un’occasione di scoperta della vitalità del mio corpo, ma grazie soprattutto per le straordinarie lezioni che mi ha dato.
Imparare da anziana operazioni e gesti che mai avrei pensato di fare mi ha dato la soddisfazione di cimentarmi in campi nuovi e insieme mi ha consentito di trovare conferme concrete, fisiche, a tante idee appena sfiorate o maturate nel tempo.
La “lezione dell’ombra” che ho pubblicato in questo blog ne è un esempio: sapevo bene che lo spessore della vita ha bisogno di ombre; ma solo nella marroneta ho vissuto l’esperienza di toccare con tutti i sensi la relazione diretta, immediata, tra il primo raggio di sole e la comparsa delle ombre…e la vitalità, lo spessore, il movimento che acquista la scena: proprio quella che fa differenza tra incanto e realtà!
Le lezioni sono quotidiane e prima o poi forse le raccoglierò in maniera organica: accendere il fuoco in differenti condizioni, canalizzare l’energia verso l’alto tagliando i polloni, servirsi della forza di gravità per alleggerire la fatica, riconoscere il “selvatico” e il “domestico” (o “gentile”!), apprezzare le diversità e stabilire relazioni uniche, individuali,  anche con i gli alberi…
Confidare nella rigenerazione è però la lezione più importante e passa per l’accoglienza dei traumi e dei momenti più cupi.
La marroneta racconta storie terribili: alberi abbattuti dal fulmine e bruciati dal fuoco, rami stroncati dal vento, terre scoscese consumate dall’acqua fino a mostrare le ossa di pietra, parassiti arrivati da lontano che succhiano la linfa e trasformano rami rigogliosi in stecchi rinsecchiti; ma dice anche che nella perenne trasformazione c’è una straordinaria capacità di ricerca di nuovi equilibri, che l’humus prodotto dal disfacimento di quanto c’era prima diventa nutrimento per un domani che nessuno può dire che forma avrà, ma per il quale merita di lavorare fiduciosi.
Quest’anno il raccolto sarà drammatico: il cinipide (l’insetto venuto dalla Cina) ha minato la vitalità delle piante, la pioggia e l’estate spenta non hanno fatto gonfiare i pochi ricci attecchiti.
Eppure ogni giorno si va a prendersi cura del bosco, a tagliare le erbacce, a pulire i fossi, a riparare le stade: tocca a noi, oggi, testimoniare con atti concreti la fiducia nel futuro delle nostre montagne.

COME MI VESTO, OGGI?

 

So chi sono, so cosa voglio dagli incontri che ho in programma oggi e so che ho proposte valide da sostenere…ma sono incerta sul vestito da indossare e soprattutto sulle scarpe da mettere.

Ieri ho lavorato nella marroneta, piovigginava e mi ha fatto piacere ritrovare per difendermi dalla pioggia il kway verde lasciato lo scorso anno. I piedi erano sicuri e asciutti dentro gli scarponi.

Oggi mi attende un colloquio con una giovane interlocutrice che non conosco, ma che so affermata e con la quale mi piacerebbe attivare una collaborazione professionale.

Devo essere autentica, piacevole, professionale e sentirmi a mio agio.
So di valere, di aver maturato una grande expertise lavorando e mettendomi in discussione e proprio per questo non devo bleffare, ma offrire un’immagine accattivante e gradevole, nonostante lo scarto generazionale e i chili di troppo.

No al look serioso del tailleur con camicia, no ai pantaloni comodi e maglietta sportiva, scelgo un tubino di maglia stampato con una gradevole fantasia, nei toni di colore che amo e che mi donano….

Ma che scarpe mi metto? I piedi –ahimè- sono la mia nota dolente: sono sempre stati tozzi e con il collo largo, ma con l’età si sono ancora allargati, l’alluce valgo si piega sempre più, hanno bisogno di sentirsi accolti e sostenuti; ma non si può mettere il tubino elegante con le ciabatte della Mephisto, per belle che siano!
Provo varie soluzioni, andando a tirar fuori anche i sandali comodi ed eleganti acquistati da Gilardini per il matrimonio di Andrea: belli, sì, ma di un bianco che stona con i toni del vestito e soprattutto “troppo” eleganti!

La soluzione si presenta improvvisa, quasi per caso: da una scatola spuntano dei vecchi sandali leggerissimi: che con un gioco di nastri intrecciati legano il piede e al tempo stesso lo lasciano libero. Il caldo arancio della pelle ben si adatta ai colori del tubino.

Ricordo che li avevo comprati, tanti anni fa, proprio in un giorno di settembre, ad Assisi, dove ero salita in un pomeriggio libero dall’aula mentre ero a Perugia per un corso e…i piedi si erano piagati perché non sopportavano di tornare dentro le scarpe chiuse dopo l’estate.

Sono contenta: ho trovato una soluzione che mi si confà e mi sento sicura.

Anche un sandalo intrecciato con un tubino elegante può essere matura libertà.

QUADERNI PER PRENDERSI CURA

QUADERNI GRUPPO

 

Quaderni per prendersi cura di sé, ma anche per trasmettere memorie e alimentare speranze, per giocare, per raccogliere parole e immagini incontrate per via, per fissare attimi o incontri da rendere memorabili… tutto questo e tanto altro sono stati per me i mercoledì d’estate al Centro Coop di Gavinana.
I pomeriggi estivi nell’afa fiorentina sono lunghi da passare, si sa. Per questo avevano chiesto anche a me di proporre delle attività da svolgere nella saletta climatizzata dei soci Coop, parzialmente isolata dal via vai dei clienti del centro commerciale, ma comunque ben in vista in fondo al corridoio centrale.
Le parole sono semi” avevo scritto una volta, per gratitudine e riconoscimento del valore che hanno per me i bellissimi quaderni che Pasquale mi regala. Perchè non provare questa semina, accanto a quella degli orti fai da te, tra oggetti volanti non identificati, idee di carta, incontri interculturali, ricette di cucina fresca e veloce?
I semi hanno cominciato a germogliare prima ancora che li buttassi.
Idee e proposte si accavallavano nella mia mente. Attingevo ad un pozzo profondo: parole e suggestioni uscivano quasi senza che ne vedessi l’origine.
Si ripeteva il continuo ininterrotto ciclo del frutto e del seme: potevo elargire con facilità fertili indicazioni perchè maturate in lunghi anni di scrittura e rilettura di “quaderni della cura di me”, di diari di bordo di esperienze collettive, di appunti di viaggio, di pensieri raccolti disordinatamente, di annotazioni varie per tema e approfondimento…e le vedevo raccogliere in terreni fertili e originare il miracolo della trasformazione fecondativa.
Proponevo semplici suggestioni evocative: si attivavano i sensi e nella stanza risuonavano voci e parole di estati lontane, arrivava il profumo dell’origano, splendevano fiori di ibisco, ci commuoveva la presenza di chi avevamo amato e non c’è più.
“Quella volta che ho visto…ascoltato…sentito…gustato…” Basta aprire i canali sensibili e attendere la risposta al richiamo. Sicuramente arriverà, non sappiamo come e da dove: è questa una conferma che ogni volta mi sorprende.
Dall’evocazione al ricordo il passo è breve: le emozioni cominciano a muoversi, trovano la strada per toccare il cuore. Non c’è da meravigliarsi se si manifestano momenti di commozione sincera, che l’accoglienza del gruppo trasforma in collante che salda le relazioni e le rende più autentiche.
Più arduo ed impegnativo si fa il lavoro di scrittura quando il rammentare impegna la testa, oltre al cuore. Il mio aiuto e le mie proposizioni diventano più precise, offrono elenchi di parole tra le quali scegliere, impegnano in uno sforzo di riflessione, provano a scandagliare angoli oscuri, invitano a mettere a fuoco aspetti rimasti in ombra, nessi e legami rimossi…
C’è poi il gioco delle risonanze. Ho trascritto e ritagliato brevi frasi d’autore, avvolgendole in minuscoli rotolini di carta, da cui invito a pescare, proprio come nelle sagre di paese alle pesche di beneficienza. Cosa provoca srotolarle e leggerle? Fanno affiorare ricordi, stimolano riflessioni o approfondimenti, suscitano interrogativi o memorie, chiedono di essere accolte nel silenzio…
Anche il mio percorso è stato un continuo procedere per risonanze: esterne ed interne.
Ho letto e riletto testi sulla scrittura creativa e sull‘autobiografia, ho fatto uso di tecniche e suggerimenti mutuati da chi da anni studia e lavora sui temi della narrazione, ma soprattutto ho lasciato libere di esprimersi le mie “voci di dentro”, mentre cercavo di captare e far vibrare quelle del gruppo, sensibilissima cassa di risonanza.
Il nostro è stato un procedere con leggerezza. Non avrebbe potuto essere diversamente per le caratteristiche stesse del luogo e del tempo dei nostri incontri. Eppure proprio questa leggerezza ci ha consentito di affarciarci su scorci impensati e di sfiorare profondità dell’anima.
Le parole a volte sgorgavano impetuose, a volte chiedevano di essere riprese con un successivo lavoro di lima e di cesello, a volte non trovavano il varco per uscire all’esterno e covavano dentro, a volte si accontentavano di essere ascoltate…e mentre le cercavamo con attenzione e con cura, si prendevano cura di noi.

LE EMOZIONI ABITANO IL CORPO

DONNA COL CAPRONE

Le emozioni, si sa, abitano il corpo. Con il nostro corpo possiamo stringere una forte alleanza per imparare ed addestrarci a viverle nella maniera migliore, assaporando ed esprimendo la loro vitalità senza consentire loro di travolgerci e di fare danni, a volte irreparabili.
Lunghi anni di eutonia mi hanno educata all‘ascolto di me, immobile o nel movimento. È così accaduto che portare e mantenere l’attenzione in un punto piuttosto che nell’altro provocasse profonde risonanze, mi portasse alla mente ricordi perduti, sciogliesse nel pianto grumi originati chi sa quando, chi sa come…
Aprire la porta all’attenzione e all’ascolto delle mie sensazioni, sospendere il giudizio, mi ha dato più consapevolezza di mille discorsi e mi ha consentito di cogliere i segnali da prendere in considerazione prima di essere travolta da un’esplosione di rabbia o da un attacco di ansia, per risollevarmi e darmi coraggio in una giornata buia.
Ho imparato a mettere in atto semplici strategie: ad ascoltare e modificare il respiro, a sdraiarmi per terra o a portare l’attenzione ai piedi per scaricare tensioni, a fare semplici movimenti che mi aiutano ad aprire torace e cuore, ad allargare le braccia e darmi lo slancio per staccarmi dalle miserie e volare, a danzare da sola lasciando che il mio corpo si riempia della musica e si muova al ritmo di cui ho bisogno al momento.
Ho trovato maestri e maestre che mi hanno accompagnata in questa ricerca, che mi hanno fatta esercitare ad osservare i fenomeni che incontravo, senza la pretesa di insegnarmi che cosa è bene fare in un caso o nell’altro, ma offrendomi delle chiavi per capire cosa era bene per me.
Avevo intuito che associare certi movimenti a specifici ricordi o immagini mentali mi aiutava a recuperare lo stato desiderato. La PNL mi ha indicato strategie e scorciatoie per ancorare determinati stati, in maniera di potervi accedere più facilmente e a modificare la rotazione delle emozioni sul nascere, per rallentarle e indirizzarle.
Quando serve, richiamo alla mente i miei luoghi mitici, gli incontri risolutivi, le esperienze straordinarie che ho vissuto, rivedo le immagini, ascolto le voci e i suoni, ri-sento nel mio corpo le sensazioni di allora…e quasi per incanto si ricrea dentro di me lo stato desiderato, con il quale meglio affrontare la prova che mi aspetta.
…avete capito che l’incontro con la balena azzurra, di cui ho scritto ieri, è la mia ancora potente che mi consente di affidarmi, calma e sicura, quando devo affrontare un’incognita grande?

BENESSERE È CANTO CHE NON SI CANTA DA SOLI

il_buon_governo_Lorenzetti

Benessere:
È canto che non si canta da soli
Voci vicine, voci lontane…

È mistero che attinge all’abisso del cuore
È gioia che sgorga improvvisa
Leggero sospiro che lega col fuori

Parola
E non solo parola

Si veste col gesto
Si scopre nel gioco

Latte e seme

Dischiude le porte: abbraccia ed accoglie
Si nutre di doni che grato ricambia

Fertile desiderio che spinge e accompagna
Certezza feconda che apre al domani

Sono passati quasi due anni da quando prese questa “strana forma” la scaletta per raccogliere le idee in vista del convegno sul “Buongoverno per il benessere di donne e uomini nelle terre di Siena” che concludeva un lungo percorso di ricerca e di animazione territoriale.
Ho continuato a riflettere, a scrivere, a progettare per trovare le strade per dar vigore a quel “leggero sospiro che lega col fuori”.
Dopo che ho chiuso la stagione dell‘impegno diretto nella politica e nelle istituzioni, ho lavorato molto su di me, mi sento in pace…ma il mio benessere non è tale se per proteggermi chiudo le finestre al dolore, alle miserie, alle piccinerie del mondo circostante.
E allora “latte e seme”: capitolo appena accennato. Nutrirmi e nutrire con il meglio che ho saputo apprezzare, non smettere di curare i miei campi di presenza per raccogliere ed offrire merce genuina ed autentica; ma anche continuare a seminare, senza paura di aprire la mano e lasciare andare al vento!
Arriveranno stagioni migliori!

A VECCHIANO SIAMO COSÌ

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E con questa frase lapidaria sono stata tacitata, costretta a prendere atto che esistono ancora paesi e sistemi di relazioni dove l‘accoglienza non è un optional e se la sera vai a bere un bicchiere di vino e a mangiare un tagliere di affettati e formaggi, ci sta che te li gusti in compagnia…e che poi tu non debba nemmeno pagare il conto!
Ho scoperto Vecchiano di recente, grazie ad un incarico di formazione per il Comune. Avevo una vaga idea che si trovasse tra Pisa e Viareggio, senza riuscire a collocarlo sulla cartina geografica.
Non è una realtà fuori dal tempo, anche se il silenzio e l’atmosfera della piazza sonnacchiosa mi portano in una dimensione surreale. Mi raccontano infatti che nella fascia lungo la pineta il mercato della droga dilaga, la prostituzione e la micro criminalità d’inverno s’impossessano di aree intere, le difficoltà di dialogo e di rapporto tra generazioni sono le stesse delle grandi città…
Trovare un posto dove cenare, in una sera fredda e piovosa, se non hai la macchina può apparire un’impresa. Non ho visto l’insegna dell’unica trattoria, non mi andava la pizza a taglio e allora, seguendo l’indicazione che mi avevano dato nel pomeriggio, ho girato l’angolo, sono entrata nell’enoteca di Marco e mi sono sentita subito a mio agio, anche se ero nuova del posto e c’erano pochi avventori.
È trascorsa piacevolmente quasi un’ora, mentre fuori la pioggia cadeva sempre più battente ed io scoprivo che Marco aveva la metà dei miei anni, che siamo nati entrambi d’aprile, io il 13 e lui il 17, che era contento dell’attività intrapresa, perchè gli consentiva di ritrovare le sue radici di paese -che aveva lasciato ragazzo per l’avventura del calcio professionista. Aveva cominciato con un piccolissimo spazio di vendita di vino sfuso e da poco aveva aperto questo più ampio che gli dava il piacere di offrire- con un bicchiere di buon vino- uno luogo accogliente dove potersi incontrare, indipendentemente dall’età.
Poche parole, ma abbastanza da scoprirci in sintonia: persone che privilegiano i valori dell’incontro, della relazione, dell‘appartenenza ad un luogo ed a una comunità rispetto ad altri beni materiali.
La settimana successiva non ho avuto esitazioni sulla scelta del luogo per mangiare qualcosa all’ora di cena.
Questa volta c’era più gente. Mi sono seduta in mezzo a loro, senza sentirmi estranea, ma al tempo stessa osservatrice partecipe. Quando mi hanno portato il bicchiere di vino un signore ha detto “Il vino l’offro io” e, alle mie resistenze, “Così lo berrà alla nostra salute!”
Dopo ho scoperto che mi aveva offerto anche il tagliere di affettati e formaggi.
Mi dispiaceva non poterlo ringraziare, ma non lo vedevo più nei paraggi. Poi è velocemente ricomparso e a me che dicevo che non c’era motivo di tanta gentilezza ha risposto “A Vecchiano siamo così!”
Bella Vecchiano, nel tempo e fuori dal tempo. Non solo per il suo arenile, la pineta, la parete di roccia, il Serchio; ma perchè c’è chi sa ricreare luoghi dove ancora si offre da bere ad una matura signora sconosciuta, senza un motivo preciso, ma perchè “A Vecchiano si fa così”