CADERE NEL BUIO TROVARE LA LUCE

scintille

A volte, quando meno te lo aspetti, la vita ti può far cadere in un buco nero dal quale non hai idea di come poter uscire.
A me è capitato in senso reale quando, tanti anni fa, in Turchia sono precipitata in una grande cavità sotterranea in un’area archeologica all’interno di un campeggio. Ho raccontato l’esperienza nel post precedente a questo, che si concludeva affermando che quell’evento è stato centrale nella mia vita perché è grazie a quella caduta se nel buio mi sono trovata.
Ad altri può capitare invece di perdersi, anche per cadute meno traumatiche.

Negli anni in cui mi sono occupata di orientamento di lavoratori in mobilità ho raccolto tante storie di spirali disperanti innestate dalla perdita del posto di lavoro, continuate con crisi familiari e talvolta con il sopraggiungere di malattie, più o meno di origine psicosomatica.
Quasi sempre all’origine c’erano sentimenti di rabbiosa ingiustizia per i trattamenti ricevuti, un atteggiamento rivendicativo verso chi non prestava l’aiuto necessario, un’ossessiva ricerca dei responsabili diretti o indiretti – fino a chiamare in causa le storture del sistema capitalistico, la globalizzazzione e l’arrivo degli extracomunitari.
E più erano aspre le rivendicazioni e la rabbia, più si acuiva il malessere che annebbiava la mente, disorientava l’agire, inaspriva le relazioni…e cerca e cerca la risorsa vitale, invece di risalire si sprofondava.

Nei corsi utilizzavo spesso un testo di Gramsci, che racconta la storia di un ubriaco, caduto in un fosso (forse un rospo gli si era adagiato sul cuore), che inutilmente chiede aiuto a chi passa per tirarsi fuori, finché non si guardò intorno, vide con esattezza dove era caduto, si divincolò, si inarcò, fece leva con le braccia e le gambe, si rizzò in piedi, e uscì dal fosso con le sole sue forze.
Sono parole che ho quasi imparato a mente, tante volte le ho lette o ripetute. Eppure mi risuonano sempre vitali.

È proprio quando non ti aspetti più nulla da nessuno che puoi attingere alla sorgente più limida e più profonda della tua energia e vitalità. Scoprire e attivare le risorse più preziose, che forse nemmeno sapevi di avere.

Mi piace ricordare che nella parola risorsa ci sono le radici del risorgere e della sorgente.

Viviamo giorni cupi, segnati da cronache di morte e di violenza. Eppure sono anche i giorni della liturgia pasquale, che parla con accenti diversi ai credenti, che attingono al mistero della fede e, e a chi, come me, non appartiene alla comunità dei fedeli, ma coglie nelle vibrazioni della primavera un messaggio che invita a trascende la quotidianità per alimentare la fiducia nel valore dell’impegno per un mondo migliore.
Ma come si fa ad uscire dal fosso e buttar via il rospo dal cuore?
Sono sempre più numerose e frequenti le storie che ci raccontano di spirali di disperazione e di sfiducia che nutrono disfattismo, rinuncia ed alimentano il peggio, sulla scena privata come su quella pubblica.
Anche i miei orizzonti sono cambiati, non vivo più dell’energia positiva della passione politica e dell’impegno in prima persona, come è stato in passato. Mi animano ancora i valori della solidarietà, della libertà, della giustizia, insieme a quelli della bellezza, della gioia di vivere, del benessere. Li coniugo in maniera diversa, guardando più in piccolo, ma forse anche più in concreto.
Conosco meglio quali sono le mie risorse più vitali, so contattarle, dar loro un nome.
Amo la mia identità in divenire, che si prepara ad una nuova primavera nell’età più matura. Vorrò essere capace di continuare ad attingere alla mia luce, per rischiarare il mio cammino e sprigionare scintille che possano essere di aiuto ad altri.

Non ho ricette da vendere, ma l’esperienza della storia di vita di una che ha accettato le sfide del cambiamento, più volte è caduta, più volte si è rialzata, trovando ogni volta un po’ più se stessa, come in quella buca in Turchia.

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MEGLIO INDIGNATI

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Disincantati e rassegnati, eppure pieni di risorse: sono gli apprendisti in formazione nei corsi dove sto facendo lezioni in questo inverno. Le recenti norme sull’apprendistato prevedono infatti una formazione in aula differenziata per durata in relazione al precedente percorso scolastico.

Lodevole intento per i molti giovani per cui questa “porta di servizio” è stata l’unico ingresso nel mondo del lavoro. Peccato che la formazione sia strutturata in modo da apparire più un dispendioso adempimento burocratico che un’occasione di effettiva crescita civica e professionale.
Ipocrita come lo è in larga misura la dicitura stessa di “apprendistato”.
I miei incarichi prevedono docenze di “Ricostruzione delle proprie risorse professionali e “Diritto del lavoro e pari opportunità”, da sviluppare in incontri di quattro ore per due giorni o di otto ore in un giorno, naturalmente in spazi rigidi, come le tradizionali aule scolastiche, dove, se tutto va per il meglio, al massimo si possono spostare tavoli e sedie in maniera che i partecipanti si possano vedere in faccia tra loro.
Grazie alle mie “materie di insegnamento” ho potuto stimolare racconti e raccogliere storie di vita e di ordinario sfruttamento sul lavoro.

I giovani apprendisti non sono più ragazzi, la loro età oscilla tra i venti e i trenta anni, molti hanno un diploma, alcuni frequentano l’università, hanno viaggiato, hanno quasi tutti diversi anni di esperienza, talvolta di ripetuti apprendistati conclusi con l’interruzione del rapporto di lavoro, aspirano a costruirsi una famiglia, in alcuni casi sono già genitori.
Mostrano insofferenza all’idea di star seduti sui banchi otto ore al giorno per una formazione di cui non capiscono il senso, sono diffidenti ad esprimere con sincerità quello che pensano della loro condizione e quando lo fanno nelle loro parole c’è un misto di rabbia compressa e di sconsolata accettazione dello stato delle cose.

Tra me e loro, soprattutto in alcuni gruppi, si è creata una strana alchimia.
Mi presento come coach, non come prof.
Butto là che ho quasi settanta anni e intanto riempio d’energia lo spazio nel quale mi muovo. Ammetto che, sì, sono stata sindaca a Vicchio, ma intanto racconto come esempio di problem solving di come quest’estate ho riappiccicato la suola dei sandali con il chewing gum prima di un incontro professionale.
Li spiazzo quando lamentano le troppe discriminazioni di oggi invitando ognuno di loro a riflettere se gli è mai capitato di agire o pensare in maniera discriminatoria. Cito Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi nel mondo” e gli faccio ascoltare il discorso di Steve Jobs alla Stanford University che si conclude con “Siate affamati, siate folli”
Li invito a riconoscere i loro valori più importanti. Metto una grande parola al centro della lavagna DIGNITÀ e li sfido a dire quando l’hanno sentita calpestata dentro di loro e a quando l’hanno vista riconosciuta.
Quando esco dall’aula, alle sei del pomeriggio, sono stanca, ma mi sento bene.
Riassaporo le parole di qualcuno “Mi ha fatto pensare” o “Comunque, lei è proprio brava!”. Rivedo lo sguardo e il sorriso della giovane donna che mi stringe la mano mentre mi dice “Grazie”
Penso tra me “Grazie a voi, se saprete scoprire il valore dell’indignazione e nutrire di speranza la memoria che vi ho trasmesso.

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DOPO BUSINESS COACHING

introduzione-business-coaching Sono uscita dal corso di business coaching – tappa avanzata del percorso iniziato un anno e mezzo fa – con alcune convinzioni salde:

  • ho fatto bene a investire tempo e risorse nella scuola di coaching: Lapo e Stefania sono trainer che mobilitano le energie migliori e intorno a loro si sta formando un gran bel gruppo a marchio NLP Academy, nel quale mi sento parte attiva e al tempo stesso sostenuta;
  • ho le caratteristiche per essere un’ottima coach: so ascoltare e fare domande generative, ho la curiosità e l’entusiasmo che servono per stimolare il cambiamento, mi piace scrutare e scorgere in ogni persona i tratti unici da rispettare ed affermare;
  • è appassionante aggiungere vita ai giorni e per questo il bagaglio di esperienze, incontri, relazioni, errori e lezioni che ho raccolto nel tempo costituisce un tesoro prezioso di storie di vita da condividere, perché resti fecondo e si alimenti nello scambio;
  • so guardare la mia immagine di donna matura, scorgerne debolezze e fragilità da non nascondere perché suoni forte, autentica e incoraggiante ogni mia parola di fiducia nel domani;
  • posso propormi autorevolmente sul mercato e competere senza paura: mi motiva e mi sostiene la consapevolezza di offrire caratteristiche di qualità uniche, appetibili nonostante – anzi proprio per – il mio “non avere più l’età”….e forse è proprio questo che mi fa dialogare così bene con i più giovani!

…e siccome le convinzioni potenzianti sono una molla potente: sono fermamente decisa ad affrontare l’esame l’anno prossimo, dopo aver raccolto una ricca messe di casi di successo.

Il pomeriggio conosce cose che il mattino nemmeno sospettava
(proverbio svedese)

QUADERNI PER PRENDERSI CURA

QUADERNI GRUPPO

 

Quaderni per prendersi cura di sé, ma anche per trasmettere memorie e alimentare speranze, per giocare, per raccogliere parole e immagini incontrate per via, per fissare attimi o incontri da rendere memorabili… tutto questo e tanto altro sono stati per me i mercoledì d’estate al Centro Coop di Gavinana.
I pomeriggi estivi nell’afa fiorentina sono lunghi da passare, si sa. Per questo avevano chiesto anche a me di proporre delle attività da svolgere nella saletta climatizzata dei soci Coop, parzialmente isolata dal via vai dei clienti del centro commerciale, ma comunque ben in vista in fondo al corridoio centrale.
Le parole sono semi” avevo scritto una volta, per gratitudine e riconoscimento del valore che hanno per me i bellissimi quaderni che Pasquale mi regala. Perchè non provare questa semina, accanto a quella degli orti fai da te, tra oggetti volanti non identificati, idee di carta, incontri interculturali, ricette di cucina fresca e veloce?
I semi hanno cominciato a germogliare prima ancora che li buttassi.
Idee e proposte si accavallavano nella mia mente. Attingevo ad un pozzo profondo: parole e suggestioni uscivano quasi senza che ne vedessi l’origine.
Si ripeteva il continuo ininterrotto ciclo del frutto e del seme: potevo elargire con facilità fertili indicazioni perchè maturate in lunghi anni di scrittura e rilettura di “quaderni della cura di me”, di diari di bordo di esperienze collettive, di appunti di viaggio, di pensieri raccolti disordinatamente, di annotazioni varie per tema e approfondimento…e le vedevo raccogliere in terreni fertili e originare il miracolo della trasformazione fecondativa.
Proponevo semplici suggestioni evocative: si attivavano i sensi e nella stanza risuonavano voci e parole di estati lontane, arrivava il profumo dell’origano, splendevano fiori di ibisco, ci commuoveva la presenza di chi avevamo amato e non c’è più.
“Quella volta che ho visto…ascoltato…sentito…gustato…” Basta aprire i canali sensibili e attendere la risposta al richiamo. Sicuramente arriverà, non sappiamo come e da dove: è questa una conferma che ogni volta mi sorprende.
Dall’evocazione al ricordo il passo è breve: le emozioni cominciano a muoversi, trovano la strada per toccare il cuore. Non c’è da meravigliarsi se si manifestano momenti di commozione sincera, che l’accoglienza del gruppo trasforma in collante che salda le relazioni e le rende più autentiche.
Più arduo ed impegnativo si fa il lavoro di scrittura quando il rammentare impegna la testa, oltre al cuore. Il mio aiuto e le mie proposizioni diventano più precise, offrono elenchi di parole tra le quali scegliere, impegnano in uno sforzo di riflessione, provano a scandagliare angoli oscuri, invitano a mettere a fuoco aspetti rimasti in ombra, nessi e legami rimossi…
C’è poi il gioco delle risonanze. Ho trascritto e ritagliato brevi frasi d’autore, avvolgendole in minuscoli rotolini di carta, da cui invito a pescare, proprio come nelle sagre di paese alle pesche di beneficienza. Cosa provoca srotolarle e leggerle? Fanno affiorare ricordi, stimolano riflessioni o approfondimenti, suscitano interrogativi o memorie, chiedono di essere accolte nel silenzio…
Anche il mio percorso è stato un continuo procedere per risonanze: esterne ed interne.
Ho letto e riletto testi sulla scrittura creativa e sull‘autobiografia, ho fatto uso di tecniche e suggerimenti mutuati da chi da anni studia e lavora sui temi della narrazione, ma soprattutto ho lasciato libere di esprimersi le mie “voci di dentro”, mentre cercavo di captare e far vibrare quelle del gruppo, sensibilissima cassa di risonanza.
Il nostro è stato un procedere con leggerezza. Non avrebbe potuto essere diversamente per le caratteristiche stesse del luogo e del tempo dei nostri incontri. Eppure proprio questa leggerezza ci ha consentito di affarciarci su scorci impensati e di sfiorare profondità dell’anima.
Le parole a volte sgorgavano impetuose, a volte chiedevano di essere riprese con un successivo lavoro di lima e di cesello, a volte non trovavano il varco per uscire all’esterno e covavano dentro, a volte si accontentavano di essere ascoltate…e mentre le cercavamo con attenzione e con cura, si prendevano cura di noi.

COLTIVARE LA BELLEZZA PER ALIMENTARE LA CITTADINAZA

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Coltivare, dal latino colere (dalla cui radice anche colonia, culto, cultura…) indica l’azione del lavorare la terra per raccogliere frutti, ma ci offre indicazioni anche su come questa azione si caratterizza. È un’azione costante e diversificata in relazione ai tempi e ai bisogni (il “colono” vive nel campo), attenta e rispettosa, quasi reverenziale
Bellezza: fenomeno che colpisce i sensi e provoca un sentimento sincero e libero di ammirazione e di piacere. Si può manifestare in natura (un paesaggio, un’alba, il cielo stellato….), nelle relazioni umane (un sentimento che si manifesta attraverso segni percepibili: uno sguardo, un gesto,un sorriso…..), nelle produzioni umane (un bel manufatto, un’opera d’arte…)
Alimentare: dare nutrimento per far crescere
Cittadinanza: rapporto tra individuo e società, inteso come partecipazione attiva del soggetto alla sfera pubblica

Da queste stringatissime definizioni si possono far scaturire pagine e pagine di riflessioni e tante ipotesi di progetti, capaci di saldare insieme percorsi educativi e/o di cittadinanza, la dimensione etica con quella politica, l’attenzione ai temi dell’ambiente con quelli dello sviluppo locale….

Mi preme sottolineare alcuni aspetti
Coltivare non è unicamente il “piacere di fare” ma presuppone che ci siano dei frutti tangibili da raccogliere, così come la “bellezza” non è un’entità astratta, ma “incarnata”. D’altra parte per “coltivare” occorre uno sviluppo competente di consapevolezza: non basta offrire uno strumento (vedi le “vie del …bello” ) se non cresce insieme la capacità di sapersene appropriare

Tenere congiunte le diverse manifestazioni della bellezza (natura, relazioni, manufatti) in una sorta di “sistema del bello” può favorire l’attivazione e la realizzazione di progetti che non solo facciano crescere la consapevolezza e la competenza soggettiva, ma per questa via rendano “più bella” la realtà circostante

La cittadinanza si esprime per autonoma competenza dei “cittadini” ma si alimenta in uno scambio fecondo con i luoghi del potere politico ed istituzionale: occorre che ci siano procedure che facilitano il confronto e la reciprocità

Ho lavorato molto su questi temi, ai quali ho cercato anche di far riferimento durante la mia stagione di sindaco di Vicchio, ad esempio con l’allestimento museale della Casa di Giotto e il suo laboratorio del colore, teso a costruire un polo di educazione al bello rivolto al turismo scolastico e di incontro tra esperienze, linguaggi, generazioni.

Mi piace riprenderli e socializzarli, perchè possano servire ad altri in questa fase di dibattito politico e di programmi per le elezioni amministrative e perchè siano per me stessa stimolo di nuova progettualità.

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La bellezza nelle relazioni Appunti di lavoro.

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Cercavo altro nel computer. Ho aperto un vecchio file con gli appunti per un progetto che non si è mai realizzato. Taglio, copio, incollo, modifico…e lo socializzo sul blog!

Il luogo dove si doveva fare il progetto è una residenza per anziani

Quando sono venuta a … per il progetto “La bellezza nelle relazioni”  è avvenuto un episodio che continuo a ricordare con grande intensità.
Parlavamo tranquilli in una stanza che sembrava fatta per il raccoglimento ed il dialogo: dialogo che non ha bisogno di alzare la voce per crescere, che anzi si nutre di raccoglimento e della pace circostante.
Ad un certo punto una voce alta è entrata tra noi. Prepotente. Era una voce di donna, una voce “anziana”, che però arrivava con straordinaria vitalità.
All’inizio ho provato una sensazione quasi di disturbo: quella voce interrompeva il flusso dei nostri discorsi e mi distraeva.
Poi mi sono lasciata distrarre. Invece che sforzarmi di chiudere le mie orecchie (e bloccare così la mia capacità di sentire), ho ascoltato…ed è arrivata la percezione di una straordinaria libertà e vitalità che si esprimeva in quel canto! Ho cercato di ascoltare meglio: era una melodia che non conoscevo e la voce era intonata.
Finito il nostro incontro ti ho chiesto di presentarmi la “cantante” ed abbiamo scambiato alcune parole. Poche e non lineari – come spesso sono le parole dei vecchi che danno per scontato che tu conosca l’orizzonte della loro storia – capaci però di aprire scorci su una realtà inimmaginabile oggi: sulla vita di una venditrice ambulante che in Lucania vendeva l’acqua, sui canti in coro mentre si andava in pellegrinaggio al santuario…e anche sulle strade che una volta non c’erano e oggi ci sono.

Ho cercato di partire da questo incontro e dalla sua intrinseca bellezza per riflettere su come potremmo testimoniare la bellezza per farla sentire ad altri.
La bellezza infatti ha caratteristiche riconoscibili attraverso la percezione: si vede, si tocca, si ascolta e per testimoniarla in maniera adeguata occorre una forma bella…e allora se già è difficile cogliere la bellezza nelle relazioni che è fatta di una materia molto sottile (sguardi, sorrisi, gesti, parole..) ancora più impegnativo diventa testimoniarla adeguatamente.

Ipotizzo un percorso a tappe

1.Riconoscere la bellezza
Acquisire la chiave dell’attenzione
Osservare
“L’ho vista!”: riconoscerla nei suoi tratti distintivi e tangibili

2. Custodire la bellezza
Essere consapevoli della bellezza che abbiamo
Saperla descrivere
Individuare e promuovere iniziative ed azioni per salvaguardarla ed accrescerla

3.Testimoniare la bellezza
Interrogarsi sulle risonanze tra mondo esterno/mondo interiore
Arrivare ad esprimere un giudizio su “La bellezza delle relazioni” nella nostra realtà valutandone gli aspetti che appaiono più pregevoli e quelli invece che piacciono meno e che potrebbero essere migliorati
Produrre artefatti o eventi capaci di testimoniare pubblicamente il percorso fatto e che restano come patrimonio di arricchimento del bello circostante e delle esperienze vissute e socializzate.