MEGLIO INDIGNATI

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Disincantati e rassegnati, eppure pieni di risorse: sono gli apprendisti in formazione nei corsi dove sto facendo lezioni in questo inverno. Le recenti norme sull’apprendistato prevedono infatti una formazione in aula differenziata per durata in relazione al precedente percorso scolastico.

Lodevole intento per i molti giovani per cui questa “porta di servizio” è stata l’unico ingresso nel mondo del lavoro. Peccato che la formazione sia strutturata in modo da apparire più un dispendioso adempimento burocratico che un’occasione di effettiva crescita civica e professionale.
Ipocrita come lo è in larga misura la dicitura stessa di “apprendistato”.
I miei incarichi prevedono docenze di “Ricostruzione delle proprie risorse professionali e “Diritto del lavoro e pari opportunità”, da sviluppare in incontri di quattro ore per due giorni o di otto ore in un giorno, naturalmente in spazi rigidi, come le tradizionali aule scolastiche, dove, se tutto va per il meglio, al massimo si possono spostare tavoli e sedie in maniera che i partecipanti si possano vedere in faccia tra loro.
Grazie alle mie “materie di insegnamento” ho potuto stimolare racconti e raccogliere storie di vita e di ordinario sfruttamento sul lavoro.

I giovani apprendisti non sono più ragazzi, la loro età oscilla tra i venti e i trenta anni, molti hanno un diploma, alcuni frequentano l’università, hanno viaggiato, hanno quasi tutti diversi anni di esperienza, talvolta di ripetuti apprendistati conclusi con l’interruzione del rapporto di lavoro, aspirano a costruirsi una famiglia, in alcuni casi sono già genitori.
Mostrano insofferenza all’idea di star seduti sui banchi otto ore al giorno per una formazione di cui non capiscono il senso, sono diffidenti ad esprimere con sincerità quello che pensano della loro condizione e quando lo fanno nelle loro parole c’è un misto di rabbia compressa e di sconsolata accettazione dello stato delle cose.

Tra me e loro, soprattutto in alcuni gruppi, si è creata una strana alchimia.
Mi presento come coach, non come prof.
Butto là che ho quasi settanta anni e intanto riempio d’energia lo spazio nel quale mi muovo. Ammetto che, sì, sono stata sindaca a Vicchio, ma intanto racconto come esempio di problem solving di come quest’estate ho riappiccicato la suola dei sandali con il chewing gum prima di un incontro professionale.
Li spiazzo quando lamentano le troppe discriminazioni di oggi invitando ognuno di loro a riflettere se gli è mai capitato di agire o pensare in maniera discriminatoria. Cito Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi nel mondo” e gli faccio ascoltare il discorso di Steve Jobs alla Stanford University che si conclude con “Siate affamati, siate folli”
Li invito a riconoscere i loro valori più importanti. Metto una grande parola al centro della lavagna DIGNITÀ e li sfido a dire quando l’hanno sentita calpestata dentro di loro e a quando l’hanno vista riconosciuta.
Quando esco dall’aula, alle sei del pomeriggio, sono stanca, ma mi sento bene.
Riassaporo le parole di qualcuno “Mi ha fatto pensare” o “Comunque, lei è proprio brava!”. Rivedo lo sguardo e il sorriso della giovane donna che mi stringe la mano mentre mi dice “Grazie”
Penso tra me “Grazie a voi, se saprete scoprire il valore dell’indignazione e nutrire di speranza la memoria che vi ho trasmesso.

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DOPO BUSINESS COACHING

introduzione-business-coaching Sono uscita dal corso di business coaching – tappa avanzata del percorso iniziato un anno e mezzo fa – con alcune convinzioni salde:

  • ho fatto bene a investire tempo e risorse nella scuola di coaching: Lapo e Stefania sono trainer che mobilitano le energie migliori e intorno a loro si sta formando un gran bel gruppo a marchio NLP Academy, nel quale mi sento parte attiva e al tempo stesso sostenuta;
  • ho le caratteristiche per essere un’ottima coach: so ascoltare e fare domande generative, ho la curiosità e l’entusiasmo che servono per stimolare il cambiamento, mi piace scrutare e scorgere in ogni persona i tratti unici da rispettare ed affermare;
  • è appassionante aggiungere vita ai giorni e per questo il bagaglio di esperienze, incontri, relazioni, errori e lezioni che ho raccolto nel tempo costituisce un tesoro prezioso di storie di vita da condividere, perché resti fecondo e si alimenti nello scambio;
  • so guardare la mia immagine di donna matura, scorgerne debolezze e fragilità da non nascondere perché suoni forte, autentica e incoraggiante ogni mia parola di fiducia nel domani;
  • posso propormi autorevolmente sul mercato e competere senza paura: mi motiva e mi sostiene la consapevolezza di offrire caratteristiche di qualità uniche, appetibili nonostante – anzi proprio per – il mio “non avere più l’età”….e forse è proprio questo che mi fa dialogare così bene con i più giovani!

…e siccome le convinzioni potenzianti sono una molla potente: sono fermamente decisa ad affrontare l’esame l’anno prossimo, dopo aver raccolto una ricca messe di casi di successo.

Il pomeriggio conosce cose che il mattino nemmeno sospettava
(proverbio svedese)

A VECCHIANO SIAMO COSÌ

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E con questa frase lapidaria sono stata tacitata, costretta a prendere atto che esistono ancora paesi e sistemi di relazioni dove l‘accoglienza non è un optional e se la sera vai a bere un bicchiere di vino e a mangiare un tagliere di affettati e formaggi, ci sta che te li gusti in compagnia…e che poi tu non debba nemmeno pagare il conto!
Ho scoperto Vecchiano di recente, grazie ad un incarico di formazione per il Comune. Avevo una vaga idea che si trovasse tra Pisa e Viareggio, senza riuscire a collocarlo sulla cartina geografica.
Non è una realtà fuori dal tempo, anche se il silenzio e l’atmosfera della piazza sonnacchiosa mi portano in una dimensione surreale. Mi raccontano infatti che nella fascia lungo la pineta il mercato della droga dilaga, la prostituzione e la micro criminalità d’inverno s’impossessano di aree intere, le difficoltà di dialogo e di rapporto tra generazioni sono le stesse delle grandi città…
Trovare un posto dove cenare, in una sera fredda e piovosa, se non hai la macchina può apparire un’impresa. Non ho visto l’insegna dell’unica trattoria, non mi andava la pizza a taglio e allora, seguendo l’indicazione che mi avevano dato nel pomeriggio, ho girato l’angolo, sono entrata nell’enoteca di Marco e mi sono sentita subito a mio agio, anche se ero nuova del posto e c’erano pochi avventori.
È trascorsa piacevolmente quasi un’ora, mentre fuori la pioggia cadeva sempre più battente ed io scoprivo che Marco aveva la metà dei miei anni, che siamo nati entrambi d’aprile, io il 13 e lui il 17, che era contento dell’attività intrapresa, perchè gli consentiva di ritrovare le sue radici di paese -che aveva lasciato ragazzo per l’avventura del calcio professionista. Aveva cominciato con un piccolissimo spazio di vendita di vino sfuso e da poco aveva aperto questo più ampio che gli dava il piacere di offrire- con un bicchiere di buon vino- uno luogo accogliente dove potersi incontrare, indipendentemente dall’età.
Poche parole, ma abbastanza da scoprirci in sintonia: persone che privilegiano i valori dell’incontro, della relazione, dell‘appartenenza ad un luogo ed a una comunità rispetto ad altri beni materiali.
La settimana successiva non ho avuto esitazioni sulla scelta del luogo per mangiare qualcosa all’ora di cena.
Questa volta c’era più gente. Mi sono seduta in mezzo a loro, senza sentirmi estranea, ma al tempo stessa osservatrice partecipe. Quando mi hanno portato il bicchiere di vino un signore ha detto “Il vino l’offro io” e, alle mie resistenze, “Così lo berrà alla nostra salute!”
Dopo ho scoperto che mi aveva offerto anche il tagliere di affettati e formaggi.
Mi dispiaceva non poterlo ringraziare, ma non lo vedevo più nei paraggi. Poi è velocemente ricomparso e a me che dicevo che non c’era motivo di tanta gentilezza ha risposto “A Vecchiano siamo così!”
Bella Vecchiano, nel tempo e fuori dal tempo. Non solo per il suo arenile, la pineta, la parete di roccia, il Serchio; ma perchè c’è chi sa ricreare luoghi dove ancora si offre da bere ad una matura signora sconosciuta, senza un motivo preciso, ma perchè “A Vecchiano si fa così”