Ode laica al mio Protettore

Guido di Pietro Trosini 
da Moriano, a Rupecanina,
uomo di zolle, ancorato alla terra,
sei diventato Angelico 
e ti hanno reso Beato
perché risplende di luce divina 
la tua opera umana.
Conosce il dolore il tuo canto gioioso,
non giri lo sguardo, 
contempli la croce…
e da chissà dove si insinua la luce!

Cercavo la grazia e la leggerezza
mirando i tuoi angeli alati;
i colori splendenti scaldavano il cuore.
Nei momenti più bui 
San Marco era un faro:
entravo a cercare la luce, la pace, 
scintille di gioia.
Ora so che per me 
maestro di vita tu sei.
Mi insegni a cercare bellezza e armonia,
a guardare più attenta,
a vedere la luce.
Mi inviti a un impegno costante,
sereno e profondo
per creare aperture.

Volevano darti il potere:
eri saggio e sapevi guidare,
ma potenza più vera scegliesti:
mostrare il qui e l’oltre,
dipingere corpi reali, 
vestiti di carne e di stoffe,
e indicare un altrove.
Sapevi nutrire speranza e utopia,
incarnare il sublime,
dischiudere porte
ed aprire orizzonti.

Voglio ali dorate,
per volare su in alto,
amare gioiosa la vita, 
comunque lei sia,
vedere serena armonia
nelle cose terrene,
scoprire bellezze nascoste,
ispirare la pace,
nutrire fiducia e speranza
in un mondo migliore.
Per questo, sei il mio Protettore!
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L’ETA’ DELLA FELICITA’

mano vecchia e giovane

Un bel servizio fotografico con immagini di uomini e donne sopra i settanta anni fa mostra di sé sulle pagine on line di un importante quotidiano. Raccoglie volti sorridenti ed ironici, corpi snelli, forti, agili e dinamici, colti in luoghi o in attività in cui non si immaginerebbero dei nonni, ma piuttosto dei nipotini: piste di pattinaggio sul ghiaccio, paracadutisti, acrobati.
La didascalia afferma “Si tratta di storie ed emozioni che non hanno nulla a che fare con la fantasia e che compongono il progetto “The Age of Happiness” (“L’età della felicità“) del fotografo e giornalista Vladimir Yakovlev. Il progetto è nato per offrire una nuova percezione della vita dai 70 anni in poi”
Guardare la galleria di immagini mi ha fatto sorridere…ma mi anche messo tristezza. Non una tristezza colorata d’invidia (già ora non ho un corpo paragonabile a quelli fotografati e solo in sogno riesco a piroettare sulle punte dei piedi) e nemmeno di sarcasmo: non sono immagini di vecchi patetici che si atteggiano a giovani. Sono proprio belli, sorridenti, a loro agio e orgogliosi delle loro prestazioni. Sicuramente fieri di inviare un positivo messaggio di fiducia.
È una galleria che sembra però alimentare il mito dell’eterna giovinezza, negare la vecchiaia, che sparisce anche dal vocabolario.
La sento invece avvicinare: nel cambiamento dei ritmi biologici, nell’energia che si fa più sottile e penetrante, nel corpo che si stanca diversamente…soprattutto nel percepire la finitezza e il limite. Altri tempi rispetto a quelli in cui pensavo di cambiare il mondo e di avere davanti a me stagioni infinite!
Eppure, fuori dal mito giovanilistico, anzi proprio a partire dalla consapevolezza del tempo che passa, sento che può essere stagione di grande felicità, anche se il corpo è più stanco, appesantito, lento.

Mi dico che anch’io vorrò essere felice nei miei 70 anni (e anche in quelli dopo!) e che lo sarò se saprò accettare con gratitudine lo scorrere della vita e la prospettiva che si fa più corta.

Mi prenderò cura di me in altro modo: sarò più attenta alla misura che all’intensità del piacere, dal cibo all’ebbrezza delle sensazioni forti.
Gusterò ogni giorno con la sapienza che il tempo mi ha dato.
Osserverò con sguardo meravigliato e attento le tracce della bellezza: dei sorrisi, dei gesti, come dei panorami maestosi e delle ragnatele che brillano dopo la pioggia.
Continuerò a viaggiare con la fantasia e l’immaginazione se e quando il corpo sarà affaticato: tornerò nei luoghi che ho amato e riascolterò la musica del vento e del mare, mi farò accarezzare la pelle dall’aria secca del deserto, respirerò la luce frizzante dell’alba e mi abbandonerò al languore dei pleniluni d’estate.
Userò parole e immagini per dare forma ai pensieri e offrire alimento a chi vivrà dopo di me.
Vorrò restare un po’ folle, sorprendere e sorprendermi, con la civetteria di chi sa molto e resta ingenua.

IL PIANORO DELL’IMPERMANENZA

cielo autunnoIl chiaro del bosco è un centro nel quale non sempre è possibile entrare
Maria Zambrano

È in alto, ma non sulla vetta.
Si arriva con il fiato grosso, ma il respiro e lo spazio si aprono dopo la salita, anche se il pendio ti dice che non è ancora finita.
Giganti secolari lo abbracciano e tra le rocce attecchiscono giovani piantine, promessa di futuro.
Lo avevo individuato come il luogo in cui in un giorno (lontano…tanto lontano…) disperdere le mie ceneri.
Era allora – solo tre anni fa – molto diverso da come si presenta ora. Mi avevano colpito e affascinato gli alberi più imponenti ed antichi della marroneta, uno in particolare, che si sviluppava su tre tronchi giganteschi che partivano dalla stessa base.
Oggi non c’è più: abbattuto l’inverno scorso, a testimoniare la sua “storica” presenza restano solo alcune grosse cataste di legna.
Ieri mattina ho lavorato a lungo sul pianoro. Il cielo era grigio. Soffiava un forte vento che disperdeva in turbini le foglie che pazientemente raccoglievo con il rastrello. Ero stanca: la notte non avevo dormito bene, preoccupata per l’annunciato temporale e affaticata dal lavoro sotto la pioggerellina battente del giorno prima.
Mi sentivo come la protagonista di una fiaba, che deve affrontare una prova difficile, che si complica ad ogni passaggio.
Il mio compito era quello di ramazzare foglie e detriti, di raccoglierli perché non siano d’ostacolo alla raccolta dei marroni e di ammassarli in maniera ordinata facendo attenzione a non ostacolare lo scorrere delle acque piovane. A dirlo sembra abbastanza facile…Non c’è solo la fatica del braccio che movimenta masse di materiale via via crescente; l’occhio e lo sguardo devono leggere pieghe e segni del terreno per individuare la direzione del moto e – soprattutto- il luogo dove disegnare con le “relle” le lineee lunghe e sottili o più spesse e massicce lungo le quali compattare i detriti.
Impercettibilmente la sottile inquietudine, la fatica, la stanchezza hanno lasciato il posto ad una grande pace.
Il pianoro mi parlava. Mi diceva che un poco alla volta, con lucidità e determinazione, si realizza il cambiamento. Mi incoraggiava ad impegnarmi per renderlo più pulito ed accogliente, sapendo che sarebbe stato per una breve stagione, ma che valeva la pena. Mi ricordava con voce dolce che devo morire e apprezzare ogni momento di vita. Mi invitava ad osservare tanti segni di durata e di trasformazione, di conflitti e di pacificazioni. Mi faceva sentire minuscola e gigantesca, affaticata e forte.
Nella mia mente si affacciavano ricordi di studi e di letture, immagini e fantasie. Soprattutto si acutizzava l‘ascolto di quanto vibrava intorno a me e le sue profonde risonanze.

Grazie, Messer Filippo!

cupola notturna

Alzo gli occhi dalla tastiera e dalla finestra intravedo la cupola rosa, prodigio di grazia e possanza. La consuetudine me l’ha resa familiare, eppure mi sorprende ogni volta.Cattura il mio sguardo e per un attimo sospendo il respiro ogni volta che mi affaccio in terrazza.

L’ho vista sotto ogni luce e sotto ogni cielo: immobile eppur diversa, straordinaria lezione di bellezza quotidiana e fuori dal tempo che questa città mi dona ogni giorno.

Scendo le scale, esco per strada e mi aggrediscono i rumori, le bici parcheggiate sullo stretto marciapiede, lordato dalle cacche dei cani e dal vomito notturno degli ubriachi. Un altro mondo.

Eppure ho imparato la lezione: so che se resto vigile la meraviglia mi potrà sorprendere ancora, quando meno me lo aspetto. Il profumo segreto di un nespolo in fiore in un giardino nascosto. Un “buon giorno” con il sorriso negli occhi da un’ortolana al mercato. Un arcobaleno iridato in una pozzanghera. Un volo di uccelli acquatici a pelo dell’Arno e le canoe che scorrono lente.

Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare” – Leonardo da Vinci.

COLTIVARE LA BELLEZZA PER ALIMENTARE LA CITTADINAZA

casa-giotto

Coltivare, dal latino colere (dalla cui radice anche colonia, culto, cultura…) indica l’azione del lavorare la terra per raccogliere frutti, ma ci offre indicazioni anche su come questa azione si caratterizza. È un’azione costante e diversificata in relazione ai tempi e ai bisogni (il “colono” vive nel campo), attenta e rispettosa, quasi reverenziale
Bellezza: fenomeno che colpisce i sensi e provoca un sentimento sincero e libero di ammirazione e di piacere. Si può manifestare in natura (un paesaggio, un’alba, il cielo stellato….), nelle relazioni umane (un sentimento che si manifesta attraverso segni percepibili: uno sguardo, un gesto,un sorriso…..), nelle produzioni umane (un bel manufatto, un’opera d’arte…)
Alimentare: dare nutrimento per far crescere
Cittadinanza: rapporto tra individuo e società, inteso come partecipazione attiva del soggetto alla sfera pubblica

Da queste stringatissime definizioni si possono far scaturire pagine e pagine di riflessioni e tante ipotesi di progetti, capaci di saldare insieme percorsi educativi e/o di cittadinanza, la dimensione etica con quella politica, l’attenzione ai temi dell’ambiente con quelli dello sviluppo locale….

Mi preme sottolineare alcuni aspetti
Coltivare non è unicamente il “piacere di fare” ma presuppone che ci siano dei frutti tangibili da raccogliere, così come la “bellezza” non è un’entità astratta, ma “incarnata”. D’altra parte per “coltivare” occorre uno sviluppo competente di consapevolezza: non basta offrire uno strumento (vedi le “vie del …bello” ) se non cresce insieme la capacità di sapersene appropriare

Tenere congiunte le diverse manifestazioni della bellezza (natura, relazioni, manufatti) in una sorta di “sistema del bello” può favorire l’attivazione e la realizzazione di progetti che non solo facciano crescere la consapevolezza e la competenza soggettiva, ma per questa via rendano “più bella” la realtà circostante

La cittadinanza si esprime per autonoma competenza dei “cittadini” ma si alimenta in uno scambio fecondo con i luoghi del potere politico ed istituzionale: occorre che ci siano procedure che facilitano il confronto e la reciprocità

Ho lavorato molto su questi temi, ai quali ho cercato anche di far riferimento durante la mia stagione di sindaco di Vicchio, ad esempio con l’allestimento museale della Casa di Giotto e il suo laboratorio del colore, teso a costruire un polo di educazione al bello rivolto al turismo scolastico e di incontro tra esperienze, linguaggi, generazioni.

Mi piace riprenderli e socializzarli, perchè possano servire ad altri in questa fase di dibattito politico e di programmi per le elezioni amministrative e perchè siano per me stessa stimolo di nuova progettualità.

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