GENNAIO MESE DI GIANO

seme e germoglio

Giano era per i romani il dio bifronte, con una faccia che guardava avanti e l’altra indietro.
È un dio che parla ancora, se ci si mette in ascolto. È il dio che apre al nuovo e proprio per questo ancora ben presente al vecchio. È il dio della porta di casa, che mette in relazione e dà continuità agli spazi intimi e a quelli pubblici.

Ho passeggiato spesso in questo mese di gennaio nella bella campagna intorno a Vicchio…e Giano mi ha parlato, mostrandomi ovunque i suoi segni.
Forse è anche effetto del mutamento del clima, insolitamente tiepido, ma i segni che preannunciano l’arrivo della primavera sono tanti: giornate che si allungano, canti degli uccelli all’alba, primule e i tarassachi in fiore, campi verdi di germogli di grano. Intorno restano ben presenti i segni dell’anno passato: bacche rosseggianti, sterpi secchi ancora pieni di semi piumosi in attesa di prendere il volo, tappeti di foglie in decomposizione o ancora attaccate ai rami delle vecchie querce.

Ho sempre amato particolarmente questo periodo dell’anno, quando l’inverno è più profondo, ma la certezza che tornerà la primavera si fa tangibile.
Mi piace camminare nel freddo vento di tramontana, che stordisce i pensieri. Il corpo è vivo, il sangue scorre veloce: il contrasto tra il freddo di fuori e il calore del movimento arrossa la pelle e fa gocciolare gli umori.
Mi piace anche il pigro abbandono sotto le coperte, le chiacchiere davanti ad un fuoco acceso, una fumante tazza di cioccolata tra le mani, fantasticare e sognare ad occhi aperti con un libro tra le mani e la testa altrove.

Esterno e interno, nuovo e vecchio, speranza e memoria, luce e ombra, intimità ed impegno…
Gennaio è altalena in una terra di confine, eterno punto di svolta da cui partire per poi tornare.

C’è una apparente forte contraddizione tra l’aprire al nuovo verso il quale procedere sempre più decisi e il continuare a sentire l’attrazione del vecchio, presente ovunque; tra la voglia di cullarsi nello spazio più privato degli affetti e l’esigenza di “vita activa” in una società da cui non estraniarsi.

Gradualmente le giornate si allungano, l’invito ad uscire all’esterno si fa più pressante…Giano mi invita a non scordare la lezione di questi giorni: a sfidare il principio di non contraddizione coltivando dentro di me l’apertura al cambiamento insieme al legame con le radici, la cura dei sentimenti e delle relazioni con la passione politica e l’impegno sociale e professionale.

giano

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L’ETA’ DELLA FELICITA’

mano vecchia e giovane

Un bel servizio fotografico con immagini di uomini e donne sopra i settanta anni fa mostra di sé sulle pagine on line di un importante quotidiano. Raccoglie volti sorridenti ed ironici, corpi snelli, forti, agili e dinamici, colti in luoghi o in attività in cui non si immaginerebbero dei nonni, ma piuttosto dei nipotini: piste di pattinaggio sul ghiaccio, paracadutisti, acrobati.
La didascalia afferma “Si tratta di storie ed emozioni che non hanno nulla a che fare con la fantasia e che compongono il progetto “The Age of Happiness” (“L’età della felicità“) del fotografo e giornalista Vladimir Yakovlev. Il progetto è nato per offrire una nuova percezione della vita dai 70 anni in poi”
Guardare la galleria di immagini mi ha fatto sorridere…ma mi anche messo tristezza. Non una tristezza colorata d’invidia (già ora non ho un corpo paragonabile a quelli fotografati e solo in sogno riesco a piroettare sulle punte dei piedi) e nemmeno di sarcasmo: non sono immagini di vecchi patetici che si atteggiano a giovani. Sono proprio belli, sorridenti, a loro agio e orgogliosi delle loro prestazioni. Sicuramente fieri di inviare un positivo messaggio di fiducia.
È una galleria che sembra però alimentare il mito dell’eterna giovinezza, negare la vecchiaia, che sparisce anche dal vocabolario.
La sento invece avvicinare: nel cambiamento dei ritmi biologici, nell’energia che si fa più sottile e penetrante, nel corpo che si stanca diversamente…soprattutto nel percepire la finitezza e il limite. Altri tempi rispetto a quelli in cui pensavo di cambiare il mondo e di avere davanti a me stagioni infinite!
Eppure, fuori dal mito giovanilistico, anzi proprio a partire dalla consapevolezza del tempo che passa, sento che può essere stagione di grande felicità, anche se il corpo è più stanco, appesantito, lento.

Mi dico che anch’io vorrò essere felice nei miei 70 anni (e anche in quelli dopo!) e che lo sarò se saprò accettare con gratitudine lo scorrere della vita e la prospettiva che si fa più corta.

Mi prenderò cura di me in altro modo: sarò più attenta alla misura che all’intensità del piacere, dal cibo all’ebbrezza delle sensazioni forti.
Gusterò ogni giorno con la sapienza che il tempo mi ha dato.
Osserverò con sguardo meravigliato e attento le tracce della bellezza: dei sorrisi, dei gesti, come dei panorami maestosi e delle ragnatele che brillano dopo la pioggia.
Continuerò a viaggiare con la fantasia e l’immaginazione se e quando il corpo sarà affaticato: tornerò nei luoghi che ho amato e riascolterò la musica del vento e del mare, mi farò accarezzare la pelle dall’aria secca del deserto, respirerò la luce frizzante dell’alba e mi abbandonerò al languore dei pleniluni d’estate.
Userò parole e immagini per dare forma ai pensieri e offrire alimento a chi vivrà dopo di me.
Vorrò restare un po’ folle, sorprendere e sorprendermi, con la civetteria di chi sa molto e resta ingenua.

IL CORAGGIO DEL BUONUMORE

arcobaleno su manifestazione

“La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore” questa citazione di Voltaire, che ho risentito ieri sera in televisione, ha accompagnato la mia mattina.
Il turbamento per i drammatici fatti di Parigi mi ha scosso profondamente, il cielo è grigio e cupo, ho la schiena indolenzita e un cerchio che mi stringe la testa (influenza in arrivo o cervicale che contesta le troppe ore davanti al computer?), sono sola…e allora, dove attingere il coraggio per non cadere in uno stato vagamente depressivo?
Prima di tutto decidere.
Voglio davvero essere di buon umore o non sarebbe meglio, complice l’indolenzimento, giocare a fare la malata coccolandomi sotto le coperte? Ma se gioco, è perché il gioco mi piace e allora mi scappa il primo sorriso autoironico: c’è un sottile piacere nel crogiolarsi compiaciuta nel malessere…basta saperlo!
Per un po’ mi godo il calore del piumino e la sensazione umidiccia del corpo sudato. La finestra lascia filtrare poca luce grigia e gli occhi un po’ si aprono, un po’ si socchiudono a seguire immagini e fantasie. Poi il gioco mi stanca e “coraggiosamente” decido di alzarmi a cercare un buon umore un po’ più attivo e dinamico.
Entro in bagno e mi godo il piacere di vuotare vescica e intestino: che leggerezza! E così a buon mercato!
Lavarmi la faccia poi è davvero salutare: l’acqua è di per se energia vitale che lava e stimola. Se poi questo semplice gesto è accompagnato dalla consapevolezza il piacere si moltiplica.
Sono sulla strada buona. Mi affaccio a osservare il paesaggio uggioso con la volontà cosciente di andare a cercare segni che possano darmi messaggi positivi. Chi cerca trova! Intravedo le gemme sui rami dell’albero davanti alla finestra: foglie secche e in decomposizione per terra danno nutrimento alla nuova primavera che non tarderà ad arrivare. C’è poi la casina colorata dei bambini fatta da mio fratello e mi attardo a ricordare le numerose e belle scene di cui è stata protagonista, dalla costruzione da parte di un falegname improvvisato, alla scrittura in bella calligrafia dei nomi di Ernesto e Francesco sulla porta d’ingresso, alla meraviglia di un mattino di neve quando ho aperto la finestra e mi è apparsa come una immagine di favola.
È con il sorriso sulle labbra che sono passata alla fase successiva: ascolto del corpo e movimento. Ho steso il collo, allungato la schiena, avvicinato e allontanato le scapole per aprire il torace e allargare il cuore, guidata per mano dal mio respiro.
Ho iniziato quindi a scrivere, interrompendomi per seguire la diretta da Parigi, convinta che avrei ricevuto un messaggio forte. Il fatto stesso che ci fosse la manifestazione era una certezza: sono cittadina di un’Europa che sa ancora mobilitarsi per valori forti che sono nel suo DNA e nella sua storia.
Accesa la televisione, il primo cartello che ho letto diceva “L’humor est immortal”.

fiori e matite

LA FENICE

padre e figlio

La marroneta de La Fenice è diventata per me il luogo simbolo della rigenerazione e della fiducia nel futuro, anche nei momenti più difficili.
Conoscevo le marronete del nostro Appennino e mi erano sempre apparse luoghi incantati. Quando sono stata sindaca di Vicchio ho cominciato a capire meglio il valore non solo ambientale, ma sociale ed economico del marrone per territorio mugellano e ho cercato di promuoverlo.
È stata però l’esperienza diretta, maturata in questi ultimi anni, che mi ha consentito di coglierne lo staordinario potere per lo sviluppo della mia crescita personale e di autentica rigenerazione.
Ho trascorso molte giornate a lavorare con Andrea e Valentina. Ho faticato molto, anche in condizioni non facili: al caldo infastidita dai tafani o sotto la pioggia stando attenta a non scivolare in un ripido fosso. Ho vissuto anche momenti gioiosi, come quando il bosco regala funghi a volontà o quando si allarga il cuore alla vista di una bellezza nota che sorprende improvvisa o quando ho visto sorgere tutta per me una straordinaria luna piena in una notte d’agosto.
Anche grazie al lavoro fisico ho trovato un rapporto nuovo con il mio corpo, sempre presente a me. Ho ascoltato attraverso i piedi il contatto con la terra, ho guardato il divenire che il cielo racconta e assaporato il gusto dell’ equilibrio in movimenti insoliti…ho ritrovato lo sguardo limpido e l’orecchio sensibile che i lunghi anni di vita nelle stanze avevano appannato.
Grazie alla marroneta quindi per avermi offerto un’occasione di scoperta della vitalità del mio corpo, ma grazie soprattutto per le straordinarie lezioni che mi ha dato.
Imparare da anziana operazioni e gesti che mai avrei pensato di fare mi ha dato la soddisfazione di cimentarmi in campi nuovi e insieme mi ha consentito di trovare conferme concrete, fisiche, a tante idee appena sfiorate o maturate nel tempo.
La “lezione dell’ombra” che ho pubblicato in questo blog ne è un esempio: sapevo bene che lo spessore della vita ha bisogno di ombre; ma solo nella marroneta ho vissuto l’esperienza di toccare con tutti i sensi la relazione diretta, immediata, tra il primo raggio di sole e la comparsa delle ombre…e la vitalità, lo spessore, il movimento che acquista la scena: proprio quella che fa differenza tra incanto e realtà!
Le lezioni sono quotidiane e prima o poi forse le raccoglierò in maniera organica: accendere il fuoco in differenti condizioni, canalizzare l’energia verso l’alto tagliando i polloni, servirsi della forza di gravità per alleggerire la fatica, riconoscere il “selvatico” e il “domestico” (o “gentile”!), apprezzare le diversità e stabilire relazioni uniche, individuali,  anche con i gli alberi…
Confidare nella rigenerazione è però la lezione più importante e passa per l’accoglienza dei traumi e dei momenti più cupi.
La marroneta racconta storie terribili: alberi abbattuti dal fulmine e bruciati dal fuoco, rami stroncati dal vento, terre scoscese consumate dall’acqua fino a mostrare le ossa di pietra, parassiti arrivati da lontano che succhiano la linfa e trasformano rami rigogliosi in stecchi rinsecchiti; ma dice anche che nella perenne trasformazione c’è una straordinaria capacità di ricerca di nuovi equilibri, che l’humus prodotto dal disfacimento di quanto c’era prima diventa nutrimento per un domani che nessuno può dire che forma avrà, ma per il quale merita di lavorare fiduciosi.
Quest’anno il raccolto sarà drammatico: il cinipide (l’insetto venuto dalla Cina) ha minato la vitalità delle piante, la pioggia e l’estate spenta non hanno fatto gonfiare i pochi ricci attecchiti.
Eppure ogni giorno si va a prendersi cura del bosco, a tagliare le erbacce, a pulire i fossi, a riparare le stade: tocca a noi, oggi, testimoniare con atti concreti la fiducia nel futuro delle nostre montagne.

BENESSERE È CANTO CHE NON SI CANTA DA SOLI

il_buon_governo_Lorenzetti

Benessere:
È canto che non si canta da soli
Voci vicine, voci lontane…

È mistero che attinge all’abisso del cuore
È gioia che sgorga improvvisa
Leggero sospiro che lega col fuori

Parola
E non solo parola

Si veste col gesto
Si scopre nel gioco

Latte e seme

Dischiude le porte: abbraccia ed accoglie
Si nutre di doni che grato ricambia

Fertile desiderio che spinge e accompagna
Certezza feconda che apre al domani

Sono passati quasi due anni da quando prese questa “strana forma” la scaletta per raccogliere le idee in vista del convegno sul “Buongoverno per il benessere di donne e uomini nelle terre di Siena” che concludeva un lungo percorso di ricerca e di animazione territoriale.
Ho continuato a riflettere, a scrivere, a progettare per trovare le strade per dar vigore a quel “leggero sospiro che lega col fuori”.
Dopo che ho chiuso la stagione dell‘impegno diretto nella politica e nelle istituzioni, ho lavorato molto su di me, mi sento in pace…ma il mio benessere non è tale se per proteggermi chiudo le finestre al dolore, alle miserie, alle piccinerie del mondo circostante.
E allora “latte e seme”: capitolo appena accennato. Nutrirmi e nutrire con il meglio che ho saputo apprezzare, non smettere di curare i miei campi di presenza per raccogliere ed offrire merce genuina ed autentica; ma anche continuare a seminare, senza paura di aprire la mano e lasciare andare al vento!
Arriveranno stagioni migliori!